Lo "haiku" - composizione poetica di tre versi basata sulla contemplazione della natura - richiede una notevole sintesi d'immagine per la sua forma concisa tesa ad afferrare le profondità del cosmo. Non significano nulla all'infuori di se stesse, esprimendo così tanto da essere incapaci di coglierne il significato complessivo. Dissolvendosi in questo “territorio straniero interno” (Lacan), dentro questo luogo del non detto - dove i procedimenti impiegati dall'artista non sono visibili - resta la possibilità per lo spettatore di costruire il resto.
I suoni - prodotti da tecniche di filtraggio, time streching, riverbero, sovrapposizioni e un uso non convenzionale del microfono - imitano a tratti un paesaggio sonoro simile a quello ritrovabile in natura, conducendo lo spettatore a una profonda esperienza intima. La metamorfosi - dove l'agitazione della materia si intreccia a suoni prodotti da movimenti graduali di oggetti su delle superfici – diventa il connettore plastico che unisce le immagini e i suoni.
L'osservazione diretta dei moti della natura, questo paesaggio agitato e organico - che muta attraverso la lente dell'immaginazione materiale - permette una poetica della rêverie bachelardiana, una fuga dal reale per l'accrescimento di un ardore spirituale che resiste ad ogni significazione (Tarkovskij).